Come Alice nel Paese delle Meraviglie, alla Fondazione Prada di Milano
Come Alice nel Paese delle Meraviglie, alla Fondazione Prada di Milano
Vogliamo proporvi una “passeggiata” nella Torre insieme a noi, con alcune delle frasi più famose della fiaba di Alice nel Paese delle Meraviglie, fino ad arrivare ai celebri “funghi” di Carsten Höller.
Se conoscete un po’ la favola di Lewis Carroll, sapete che Alice fa un sogno molto particolare e non sense, dove viene a contatto con personaggi e situazioni paradossali, che la mettono di fronte a interrogativi molto più profondi di quello che sembrano. Così succede anche visitando le opere del Progetto Atlas, alla Torre della Fondazione Prada.
Nella Torre, entrerete con l’idea di visitare un museo, e ne uscirete invece con la convinzione di avere fatto un’esperienza di vita realmente significativa e importante da ricordare…e non solo per avere visto dei “funghi” particolarissimi!
Non è, ripetiamo, solo per la possibilità di fotografare tutte le opere, che è (purtroppo) preclusa nella maggior parte dei musei italiani, ed invece qui consentita e anzi incoraggiata, come d’altro canto nella maggioranza dei luoghi gestiti con metodi imprenditoriali 2.0 (in questo come in altri campi, anche il FAI è avanti anni luce rispetto ai musei pubblici).
Condividere un selfie scattato in un museo con gli amici è un mezzo a costo zero per fare pubblicità al museo stesso, e dunque perché ci sono ancora tanti divieti di scattare foto?
Se si teme che il flash possa danneggiare le opere, perché non impedire solo l’uso del flash? Ma andiamo avanti con il nostro racconto.
Dicevamo…
Non è solo la possibilità di scattare delle foto. È anche il grande vantaggio di poter fare domande ai giovani assistenti in sala, che oltre a sorvegliare le opere, sono preparati e raccontano, con parole semplici, il messaggio che racchiudono quelle sculture e quei quadri.
In questo posto bisogna andarci senza nessun timore reverenziale, non siamo a scuola e nessuno ci obbliga a leggere descrizioni lunghissime sulla storia di questo o di quell’altro; mentre la mostra temporanea (dedicata a Domenico Gnoli) era ricca di opere e di un accurato apparato documentario, le opere del Progetto Atlas, esposte nella Torre, sono davvero di libera fruizione, per una esplorazione a tutto campo, a corpo e mente liberi. Qui si dovrebbe partire con la semplice voglia di fare un’esperienza diversa, da soli o con qualcuno che sia curioso come noi.
Una passeggiata nell’arte contemporanea, e nello stesso tempo nella periferia milanese, vista dall’alto.
Tra il grigiore dei casermoni grigi visti dall’alto della Torre bianca, spiccherà, come un punto luce, l’altra Torre d’oro di Koolhas (l’intera superficie del vecchio edificio è stata rivestita di una lamina d’oro vera e propria!). Una luce importante, preziosa, simbolo del viaggio di ciascuno di noi all’interno del Bello, qualsiasi cosa con questa parola si voglia intendere e su cui si voglia riflettere.
La Fondazione Prada è situata in un posto fuori dal centro di Milano, nella periferia sud, dove prima c’erano solo stabilimenti industriali e ora ci sono edifici residenziali, in via Isarco. Ci si arriva prendendo la metropolitana gialla, scendendo alla fermata Lodi TIBB, camminando a piedi per circa 10 minuti.
La sede è un’ex distilleria, dove un tempo si facevano liquori. Un’area riqualificata di 19mila metri quadrati, dove sono allestite diverse mostre, alcune permanenti ed altre temporanee. Oltre alle strutture preesistenti (tra cui la torre d’oro – Haunted House, temporaneamente chiusa al pubblico) ci sono tre nuovi edifici, il Podium, il Cinema e la Torre, quest’ultima completata nel 2018. Artefice dell’intero progetto, inaugurato nella sua parte iniziale nel 2015 in occasione di Expo, è l’archistar Rem Koolhaas. L’ architetto e urbanista olandese di fama internazionale da anni collabora con Fondazione Prada, e tramite lo studio OMA ha realizzato per il brand diversi negozi in tutto il mondo.
Oggi il complesso ospita, oltre agli spazi espositivi e uffici, un cinema, un archivio, una biblioteca, il Bar Luce, progettato dal regista inglese Wes Anderson e ispirato ai caffè milanesi degli anni ’50, un bar e un ristorante ospitati nella Torre.
Gli spazi espositivi della Torre accolgono il progetto permanente “Atlas” che include opere della Collezione Prada allestite in una sequenza di confronti tra artisti diversi come Carla Accardi e Jeff Koons, Walter De Maria, Michael Heizer e Pino Pascali, William N. Copley e Damien Hirst, John Baldessari e Carsten Höller, Goshka Macuga e Betye Saar.
Oltrepassato il cancello, ci si trova in un ampio cortile dove ci sono, a pochi passi l’uno dall’altro, i diversi edifici.
Le superfici specchiate di alcuni di essi invitano subito ad accendere la fotocamera dello smartphone e a fare i primi video, giocando con le luci e le linee degli alberi che dialogano con le architetture.
La Torre è il più alto tra tutti gli edifici, e ha la capacità di catalizzare l’attenzione. Forse il colore, la forma, l’afflusso di gente. Ci dirigiamo anche noi, a passo svelto, verso l’edificio, e già dall’ingresso sembra volerci proiettare verso l’esterno. Ci ha attirati dentro e, una volta dentro, ci proietta di fuori!
Un grande vano con una grande rampa di scale ci permette di dialogare costantemente con lo spazio circostante e di mantenere l’adeguata distanza dagli altri visitatori (siamo in piena pandemia, e dobbiamo tenere su le mascherine FFP2 e disinfettarci sempre le mani).
La prima sala è coloratissima. C’è un gigantesco mazzo di tulipani di Jeff Koons, fatto di acciaio lucido, colorato e levigato, così leggero che sembra fatto della plastica sbriluccicante dei palloncini gonfiati con l’elio.
Ci specchiamo, tutti si specchiano. Giochiamo con le superfici riflettenti che si ripetono all’infinito. Sulla parete di fianco, grandi quadrati altrettanto colorati, ma di plastica, a firma dell’italiana Carla Accardi, sembrano volerci richiamare all’ordine. Ricordano che il colore non sempre ispira gioia, che la plastica è triste. Il colore può anche essere molto problematico, se ci si mette, dipende dalla materia in cui si estrinseca. Jeff Koons è estroverso, Carla Accardi è introversa.
Uno dei tanti spunti di riflessione che ci suscitano le due opere.
Ne parliamo con la stewart, che sembra essere filo-accardiana, e che per questo ci è molto simpatica, a noi che stiamo sempre dalla parte delle minoranze (e le artiste donne, purtroppo, ci rientrano a pieno titolo).
Chi sei tu? – disse il Bruco. Non era un bel principio di conversazione.
Alice rispose con qualche timidezza: – Io a questo punto quasi non lo so più, signore – o meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma da allora credo di essere cambiata più di una volta.
Saliamo le scale e arriviamo al secondo piano dove su due pareti contrapposte ci sono tre arazzi della polacca Goshka Macuga: “Make Tofu Not War”, From Gondwana to Endangered. Who Is the Devil Now?”in 3d, e “Of what is, that it is; of what is not, that it is not 2. Al colore plastico e vibrante del primo piano, si è sostituito il grigio di pannelli enormi e piatti, per guardare il quale dobbiamo metterci gli occhialini 3d usa e getta. Lo scenario è apocalittico, ci sono foreste bruciate e animali selvatici che brancolano sperduti tra le macerie, i rifiuti e gli alberi secchi. Le scritte in inglese suonano come pesanti accuse verso chi ha voluto questo scempio. Buttiamo via gli occhiali (!).
Ci addentriamo nella stanza esoterica posta al centro, giocata tutta sule sfumature di blu, dell’afroamericana Betye Saar. L’atmosfera è decisamente diversa e più intimista.
Vogliamo sapere se siamo sulla strada giusta, e chiediamo conferma alla stewart.
Ci fornisce indizi su cui riflettere. Il paradosso. La vita e la morte, il contrasto, la contraddizione, la denuncia, l’intimismo. Due personalità che non potrebbero essere più agli antipodi, che si ritrovano nella stessa stanza a condividere gli stessi dubbi.
Camminiamo con un nuovo senso di disagio, ma consapevoli di quanto anche questo tipo di crisi sia necessario. L’arte contemporanea ha anche questa funzione: scardinare l’uomo dalle sue certezze, e porlo di fronte ad interrogativi tanto più inquietanti e drammatici quanto più veri e spontanei.
L’esibizione, la scena, l’ostentazione: si tratta anche questo tema, nella sala, esattamente sulla parete di fronte c’è l’altra faccia della medaglia.
Tutte le opere della Torre sono state scelte, selezionate e posizionate da Miuccia Prada con Germano Celant, storico dell’arte recentemente scomparso a causa del Covid.
– Alice: Per quanto tempo è per sempre
– Bianconiglio: A volte, solo un secondo.
Saliamo un’altra rampa di scale, e anche questa volta lo scenario è inaspettato. Ci sono tre limousine rosso fiammante, una messa in fila all’altra. Le macchine sono vere, in scala reale, ma trafitte da un palo in acciaio. Sono opera dell’americano Walter De Maria. Vacilliamo un po’, catapultati in mille pensieri diversi, intanto che proviamo a camminare accanto a queste che sono e continuano a essere uno status simbol. Cosa vorranno dire? Lo chiediamo alle assistenti in sala e…ci teniamo per noi la risposta per non spoilerare. Tenetevi forte però.
Un giorno Alice arrivò ad un bivio sulla strada e vide lo Stregatto sull’albero.
– Che strada devo prendere? chiese.
La risposta fu una domanda:
– Dove vuoi andare?
– Non lo so, rispose Alice.
– Allora, – disse lo Stregatto – non ha importanza.
Saliamo un’altra rampa. I piani sono 9 in tutto, e l’ascensore panoramico non è agibile. Per noi che siamo abituati a camminare in montagna, non è un problema, ma vediamo diversi visitatori, anche giovani, visibilmente in affanno. Peccato per loro, perché la vista è bellissima, e fare un po’ di ginnastica fa sempre bene. C’è comunque l’ascensore per i disabili e i visitatori con mobilità ridotta, bisogna solo avere la pazienza di aspettare, se la gente è molta.
La sala è immensa ma lo sguardo si concentra sulla struttura che corre raso terra per quasi tutta la sua lunghezza.
Ci sono sculture che sembrano oggetti giganti.. o sono oggetti giganti messi lì con l’etichetta “scultura”? Siamo davanti ad opere di arte povera e land art, per capire le quali questa volta, sì, ci sarebbe bisogno di qualche nozione di storia dell’arte. L’assistente in sala ci accenna a qualcosa, ma è chiaro che non può improvvisare una lezione per ognuno dei visitatori. Leggiamo sui cartellini i nomi di Michael Heizer e Pino Pascali. Ci accontentiamo di quello che abbiamo intuito, e andiamo avanti.
Alice rise: – È inutile che ci provi, disse; non si può credere a una cosa impossibile.
– Oserei dire che non ti sei allenata molto – ribatté la Regina. – Quando ero giovane, mi esercitavo sempre mezz’ora al giorno. A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione.
Procediamo nell’ascesa, e ci troviamo al cospetto di un’altra di quelle installazioni che sembrano provocazioni belle e buone.
Essere curiosi, sempre, senza pregiudizi.
Ci fanno un po’ senso tutte quelle mosche – vere – ammassate. Il disagio c’è, d’altro canto Damien Hirst è noto per questo tipo di approccio con il suo pubblico. L’artista ce l’ha messa tutta per farci provare un profondo imbarazzo. D’altro canto, l’edonismo sfacciato che ammicca dai dipinti di William N. Copley appesi sulla parete laterale non riesce a essere più disturbante e confusionario. Sono scene erotiche. Cosa ci vogliono dire? Ecco, anche in questa occasione, l’allestimento ci lascia qualcosa dentro. Tutto, ma non l’indifferenza. Ci ricorderemo di questo posto, questo è sicuro.
– Allora, quando parli, dovresti dire ciò che intendi dire, soggiunse il Leprotto Marzolino.
– Certo replicò prontamente Alice; perlomeno – perlomeno io intendo dire proprio ciò che dico – che è poi la stessa cosa, no?
– No che non è la stessa cosa! esclamò il Cappellaio. A questa stregua, potresti sostenere che “Vedo ciò che mangio” sia la stessa cosa di “Mangio ciò che vedo”!
– A questa stregua aggiunse il Leprotto Marzolino, potresti sostenere che “Mi piace quello che prendo” sia la stessa cosa di “Prendo quello che mi piace!”
Saliamo ancora più su, e il soffitto è sempre più basso.
Dobbiamo aspettare che si smaltisca la fila, per entrare in un tunnel dove l’oscurità è assoluta. Poi…il sogno! Funghi giganti e rossi, di quelli che sono velenosissimi, appesi al rovescio, che roteano come giostre di bambini. Sono opera di Carsten Höller.
Dopo il percorso surreale tra queste sculture pazzesche, ci attende un’altra prova. L’interattività è gioco, esplorazione, mistero. Anche in questo caso non vogliamo anticipare troppo, rovineremmo la sorpresa che fa parte dell’installazione di John Baldessari.
In un Paese delle Meraviglie essi giacciono,
Sognando mentre i giorni passano,
Sognando mentre le estati muoiono;
Eternamente scivolando lungo la corrente
indugiando nell’aureo bagliore…
Che cos’è la vita se non un sogno?